Futuri ricordi
La storia > La vetrina del salotto
Perché, a Genova, da queste parti, è diverso che
altrove, ed anche una squadra di calcio può essere di più, molto di più di
quello che ad un “foresto” potrebbe sembrare: come il Genoa, la squadra più
antica d’Italia, che qui nell’anima e nel cuore dei Genovesi assume significati
molto più estesi e muove sentimenti molto più profondi di quelli che, in teoria,
dovrebbe suscitare una pur gloriosa squadra di calcio.
Ma qui, come dicevo, tutto è
diverso e il passato è un’eredità che ti abitui a respirare insieme all’odore di salmastro e allo
scirocco, che nelle giornate di “maccaia” penetra nei tuoi carruggi e nelle tuo
ossa, regalandoti umidità e nostalgia.
Qui, più che in qualunque altro
posto, si ha il sentimento del tempo che passa inesorabile e travolge tutto,
senza che i monti dietro la città possano fermarlo, come fermano il vento di
mare, facendolo trasudare di pioggia.
E siccome il tempo non lo si può
comunque fermare, qui la gente, come i monti con il vento, il tempo lo fanno
trasudare e ne distillano tradizione e nostalgia.
Qui la tradizione è sacra; i Genovesi, quelli
veri, amano il Genoa, simbolo - in
ambito sportivo ma non solo - delle proprie radici, come e più di se stessi, lo
amano incondizionatamente, tacciono persino le sue qualità e ne esaltano i difetti, quasi a voler sfidare il banale
senso comune per cui una squadra di
calcio è valida ed “appetibile” proporzionalmente ai risultati sportivi che
ottiene: il giorno che il Genoa dovesse diventare una squadra vincente, ne sono
sicuro, mi sentirei in un felice imbarazzo.
Sono Genoano di quarta
generazione: mio nonno (ragazzo del ’99 nella I guerra mondiale), presa la
passione del Grifone da suo padre, (che
aveva visto nascere la squadra nel 1893) trasmise l’irragionevole sentimento a mio
padre, il quale nel 1954 incontrò nella mitica gradinata Nord, una ragazza
altrettanto genoana che due anni dopo sarebbe divenuta sua moglie: mio figlio
(quinta generazione) a 12 anni, già da tempo soffre in rossoblù
Papà mi è mancato, sono solo sei
mesi fa: se ne è andato con una cravatta
rossoblù al collo, la sua genoanità è stata ricordata persino in un commosso e
commovente necrologio e in chiesa, non
so perché, nel dolore ho fissato a lungo un cuscino di fiori rossoblù posto da
amici Genoani accanto a lui, a ricordare
la sua passione.
E di storie come questa mille e
mille altri Genoani potrebbero raccontarne: in altre realtà tutto questo
apparirebbe esagerato, stonato, e persino privo di buon gusto, ma a Genova no,
a Genova è diverso: il Genoa non è una squadra, è una modalità dell’esistenza .
E siccome, nonostante tutto, il
tempo imperterrito si ostina a passare anche a Genova, quasi per farci
dispetto, anche qui, intorno alla vecchia città hanno costruito un nuovo centro moderno, uguale a quello di mille
altre città, con i dovuti giardini di plastica, come quelli di mille altre
città, e dalla periferia è stata costruita anche una nuova altra squadra di calcio, come quella di
mille altre città.
Avrebbe tranquillamente resistito
il mio Genoa a tutto questo, se non fosse che oggi siamo ostaggio di un
presidente, tale Dalla Costa, che dopo una sciaguratissima conduzione,
tragicamente coerente con quella del suo
predecessore, ci ha portato sull’orlo
della bancarotta ed oggi tratta il Grifone con meno rispetto di quello che
avrebbe un crocefisso nell’ufficio di
Stalin.
Forse è ancora più terribile la
minaccia che incombe a causa di un tal Garrone Duccio, di mestiere “noto
petroliere ed imprenditore” il quale, pur non essendosi mai occupato prima di
sport che fossero diversi dalle battute di caccia nei suoi possedimenti, ha
acquistato ora l’altra squadra di calcio, e vuole abbattere il nostro glorioso
e storico stadio per fare giocare tutte e due le squadre in una lontanissima
periferia, a Trasta, in uno stadio che lo stesso petroliere vorrebbe costruire
in una località che è così triste che non ci possono fare neppure
l’ipermercato, perché, i depressi statisticamente non comprano abbastanza.
L'operazione, naturalmente, è
chiaramente finalizzata, oltre che a far guadagnare un sacco di soldi al Garrone – costruttore, ad una successiva e a
quel punto “inevitabile” fusione tra le due squadre.
Insomma a me, e, soprattutto, a
mio figlio vogliono strappare il Genoa, vogliono strappare il cuore, vogliono
strappare la memoria, vogliono strappare le radici: vogliono davvero strappare l’unico pezzo di
calcio “vero” che è rimasto in Italia, forse nel mondo.
Nella lingua Genovese il Genoa
viene chiamato “ U Zena”, esattamente come, i Genovesi, nella loro lingua,
chiamano “Zena “ Genova, la loro città,
e tutto questo non è un caso.
E allora io, con tutta la forza
di cui sarò capace, urlerò no, no e poi no, e lo urlerò ancora più forte per la
mia città, e lo urlerò due volte più forte per mio figlio: NO, NO, NO.
E chiedo a tutti di voler
amplificare questo mio no, di far conoscere a tutti quello che io, come decine
e decine di migliaia di Genoani devo
patire: perché nessuno deve potersi permettere, per ragioni di suo particolare
gretto interesse, di toccare le mie radici, i miei affetti i miei ricordi, e
mai, soprattutto, mai nessuno deve
potersi permettere di rubare a mio
figlio uno solo dei suoi futuri ricordi.
Cecco
Angiolieri