A tempo scaduto
La storia > La vetrina del salotto
Che la partita sia rappresentazione
e metafora della vita, neppure troppo sottile e neppure troppo nascosta, è cosa
nota a tutti.
Però una cosa a sapere le cose,
un'altra è il viverle, e chi, come me, era lì, al Luigi Ferraris, in quel tardo
pomeriggio del 4 giugno 1995 ricorda molto bene come si sudava avvolti in una
cappa di caldo e di angoscia, mentre al fischio finale ti prendeva lo sconforto
e la rabbia di quella tanto beffarda quanto vana vittoria sul Toro, che
sembrava deriderti come un inutile e perduto sogno, affogato nella delusione di
una retrocessione decisa per il punto che il Padova stava conquistando a
Milano, contro l'Inter, attraverso un rotondo 2-2 che si era ormai affermato e
(quasi) definitivamente consolidato essendo ormai scaduto il 90° minuto.
Ricordo come se fosse adesso quel momento: l'ho spezzato in mille frammenti di ogni singolo istante, e ora li conservo tutti, uno per uno, ciascuno come una fotografia della memoria: una gola violacea, gonfiata da vene che sembrano scoppiare, un urlo disumano, poi un brusio diffuso e sconcertato, infine il boato quando arriva la certezza di una notizia che non sembra neppure vera, tanto è bella e ormai inaspettata: l'Inter aveva segnato al 93° minuto e aveva battuto il Padova 3 - 2: non era più retrocessione: la speranza si apriva in un varco di luce nel buio più fitto.
Ricordo come se fosse adesso quel momento: l'ho spezzato in mille frammenti di ogni singolo istante, e ora li conservo tutti, uno per uno, ciascuno come una fotografia della memoria: una gola violacea, gonfiata da vene che sembrano scoppiare, un urlo disumano, poi un brusio diffuso e sconcertato, infine il boato quando arriva la certezza di una notizia che non sembra neppure vera, tanto è bella e ormai inaspettata: l'Inter aveva segnato al 93° minuto e aveva battuto il Padova 3 - 2: non era più retrocessione: la speranza si apriva in un varco di luce nel buio più fitto.
Io non credo che ci sia un solo
genoano che non ricordi il simbolo di quella speranza ritrovata, quando
veramente tutto sembrava perduto, quando appena pochi secondi prima il solo
immaginare l'evento, sembrava una follia della disperazione, il simbolo di
quella speranza, il simbolo di quella rinascita è racchiusa in quella immagine
indimenticabile del nostro capitano Gianluca Signorini che, avuta la notizia,
dagli spogliatoi rientra in campo e corre verso la Nord, con le braccia alzate,
e poi si inginocchia, ai piedi della gradinata impazzita dalla gioia, davanti a
un cartellone pubblicitario e lo colpisce con i pugni per sfogare l'ansia, la
tensione ma anche la carica che solo un amore disperato, di quelli che solo i
Genoani sanno provare, riesce a darti e ad infliggerti.
Ho ancora negli occhi, e
soprattutto nel cuore quell'immagine, come se fosse ieri, e io dico che non
esiste nulla più di quell'immagine che sintetizzi la disperazione e la gioia
sublime dell'essere Genoano, così come non esiste nessun giocatore che più del
nostro capitano Signorini in quel momento sia riuscito a vivere la genoanità in
modo così profondo e coinvolgente.
Il Genoa nella sua lunghissima
storia ha avuto il privilegio di poter contare nelle proprie file campioni che
sono diventati leggenda del calcio, campioni veri, uomini veri e Gianluca
Signorini è certamente tra questi, ma, sarà una mia personale valutazione,
entra nel novero dei grandi con qualcosa in più, con qualcosa che altri, pur
grandissimi, non hanno avuto: è qualcosa che il nostro capitano ha trovato in
quel caldo pomeriggio del 4 Giugno, forse mentre era a terra piegato in due con
la faccia in mezzo all'erba, o forse mentre rientrato in campo dagli spogliatoi
correva verso la Nord, o forse mentre dava i pugni al cartellone o forse, e più
probabilmente, tra le lacrime di rabbia e di gioia che ha versato in quel
giorno.
Oggi tocca a noi giocare una partita per lui, ricordando, semmai ce ne fosse bisogno con i Genoani, che le partite, tutte le partite, si giocano prima ed innanzi a tutto, sugli spalti, perché al popolo rossoblù essere mansueto spettatore non ha mai interessato, quella è cosa per altri, non per gente che non è mai stata lì solo a guardare, ma, nel bene e nel male, è stata sempre protagonista.
Oggi tocca a noi giocare una partita per lui, ricordando, semmai ce ne fosse bisogno con i Genoani, che le partite, tutte le partite, si giocano prima ed innanzi a tutto, sugli spalti, perché al popolo rossoblù essere mansueto spettatore non ha mai interessato, quella è cosa per altri, non per gente che non è mai stata lì solo a guardare, ma, nel bene e nel male, è stata sempre protagonista.
Oggi tocca a noi giocare la
nostra partita, che sappiamo bene essere una partita difficile e piena di
insidie, ma sarebbe bene, molto bene, ricordare adesso, proprio quel pomeriggio
di Giugno, quando a tempo e speranza scaduti, a partita apparentemente finita,
abbiamo visto il nostro capitano dagli spogliatoi ritornare in campo e correre
verso la Nord esultando: e nessuno ha scritto da nessuna parte che non possa
essere così anche domani.
Cecco degli Angiolieri